L’INTIMA ESPERIENZA DEL NARCISISMO

NARCISISMO, UN PO’ DI CHIAREZZA SUL TERMINE
Diciamoci la verità, oggi il termine “narcisista” è entrato nella terminologia comune per indicare una persona che è sempre al centro dell’attenzione, “egoista”, che pensa solo a sé.
Nel panorama psicodinamico e diagnostico Nancy Mc Williams (2011) utilizza il termine narcisista per indicare tutte quelle persone che per mantenere la propria autostima hanno bisogno di continue conferme da parte dell’esterno.
La letteratura psicoanalitica si è a lungo occupata del narcisismo e delle sue sfumature  (Reich, 1960; Gabbard, 1989; Akhtar, 2000).
Jones (1913) fu tra i primi a descrivere la persona narcisista nella sua accezione più grandiosa (forse l’accezione più nota a livello comune) e ne ha parlato come di una persona esibizionista, distaccata, inaccessibile a livello emotivo, con la tendenza a sopravvalutare le proprie capacità, giudicare gli altri e sentirsi onnipotente.
Bernardi ed Eidlin in un recente articolo hanno provato a mettere in evidenza i due sottotipi di personalità narcisista descritti da Rosenfeld: “thick skinned” (a pelle spessa) e quello “thin skinned” (a pelle sottile) (2018, p. 292). Come descritto nel Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM-2) (2020), il primo appare spiccatamente vanitoso e manipolatorio oppure carismatico e dominante, comportandosi come chi crede di avere tutti i diritti e svalutando chi lo circonda; mentre il secondo cerca più di entrare nelle grazie di chi reputa potente e prestigioso, viene ferito facilmente e prova un’invidia costante per chi reputa al di sopra di lui.
Bateman (1998), tuttavia, sostiene che queste due modalità di narcisismo possano coesistere ed alternarsi, in momenti di vita differenti, nello stesso individuo.

Al di là della modalità prevalente, ciò che caratterizza trasversalmente ogni persona narcisista è il senso interiore di una profonda inadeguatezza, la presenza di forti sentimenti di vergogna, di debolezza e di inferiorità e l’essere costantemente alle prese con il tentativo di non sentire tutte queste spiacevoli sensazioni.
Il modo attraverso cui tentano di difendersi e mantenere la propria autostima è attraverso l’uso della svalutazione o dell’idealizzazione: quando idealizzano qualcuno si possono sentire speciali per il fatto di avere una relazione con lui; mentre svalutare l’altro li aiuta nel caso in cui quest’altro, con i suoi comportamenti, minacci la sensazione di prestigio che il narcisista cerca di mostrare di sé.

Ciò che rende il narcisista costantemente alla ricerca degli altri per sentirsi soddisfatto di sé riguarda la sua personale intima esperienza di sentirsi vuoto e privo di significati: non sa chi è, non sa cosa caratterialmente lo caratterizza, né cosa desideri veramente.
La sensazione di vuoto è molto legata al sentirsi privo di una struttura caratteriale solida, piuttosto che al sentire la mancanza di qualcosa nella propria vita come può accadere, ad esempio, ad una persona depressa.

NARCISISMO “NORMALE” E NARCISISMO “PATOLOGICO”
Un altro aspetto su cui è bene fare chiarezza è che le caratteristiche narcisistiche possono far parte di un modo di essere della persona, di un suo stile di personalità.
Come suggeriscono Lingiardi e Mc Williams (2020), in tal senso si parla di stile di personalità: un insieme di caratteristiche che indirizzano il nostro agire e il nostro pensare in riferimento a noi stessi e all’ambiente circostante.
Una persona che ha uno stile di personalità narcisista può non avere necessariamente una vita sociale e personale compromessa, né tantomeno sentirsi così minacciato dal suo mondo interiore. Si può parlare di disturbo narcisista laddove sono presenti aspetti narcisistici più rigidi e marcati che comportano un forte smarrimento personale rispetto a chi si è e cosa si voglia nella vita e una forte carica aggressiva al punto in cui, secondo Kernberg (2004) tutti questi aspetti possono portare la persona al confine dell’antisocialità.
Da un punto di vista clinico, in generale, la persona con un funzionamento narcisista di personalità arriva in psicoterapia quando qualche evento lo ha toccato così profondamente al punto da fargli percepire (seppur brevemente) quella sensazione tanto spaventosa di vuoto, del non sapere davvero chi è e chi desidera essere.
Fino ad allora, difficilmente  sarà disposta a mettersi in discussione o provare ad affidarsi a qualcun altro.
Questa paura del coinvolgimento profondo con l’altro e questa mancata costruzione di sé hanno radici profonde e complesse in cui certamente è coinvolto tutto il sistema affettivo dove la persona narcisista è cresciuta.
Rispetto a questo molto ci sarebbe da dire e il tema è davvero vasto ma ho scelto di soffermarmi sul rapporto con la famiglia d’origine perché, nella mia pratica clinica, sempre più mi colpisce quanto le personalità narcisiste provengano da relazioni in cui sentono costantemente messo alla prova il loro “andare bene”.

FIGLI NARCISISTI CHE NON SI SENTONO VISTI
Ogni bambino cresce e si sviluppa “nutrendosi” delle attenzioni di chi vive nel suo ambiente familiare e quotidiano, primi tra tutti coloro che lo accudiscono.
La capacità dei genitori di cogliere i segnali del figlio, e quindi ciò di cui lui ha bisogno, è di fondamentale importanza perché il bambino imparerà che i suoi bisogni sono visti, riconosciuti e soddisfatti.
Passare per questa fase di sviluppo è importantissimo perché fare esperienza dell’essere compreso e visto permette poi di avere fiducia in sé e nell’altro.
Questo aspetto è cruciale anche per accogliere, sia in noi stessi che negli altri, la possibilità di fallimento come qualcosa che può accadere senza che ciò minacci il nostro o altrui valore.
Non solo, ma avere fiducia nelle proprie figure di accudimento permette poi di potersene distaccare per iniziare ad esplorare l’ambiente e fare nuove esperienze di sé e del mondo.
Nella strutturazione di una personalità narcisista possiamo pensare che qualcosa nel processo armonico di sviluppo sia andato storto.
Nel panorama psicoanalitico vari autori hanno apportato teorie diversificate sull’origine dei tratti narcisisti all’interno delle relazioni familiari.
Secondo Lingiardi e Gazzillo (2014) queste visioni diverse potrebbero essere legate alla tipologia di pazienti con cui i vari terapeuti si sono trovati a lavorare: alcuni autori potrebbero aver lavorato maggiormente con il sottotipo “a pelle spessa”, mentre altri con quello “a pelle sottile”.
Per la mia esperienza clinica, i pazienti con una personalità narcisista arrivano in terapia perché qualcosa ha minacciato la loro autostima, al punto da rischiare di fargli avvertire il profondo senso di smarrimento rispetto a chi sono.
Nelle loro storie familiari mi colpisce frequentemente l’esperienza che queste persone fanno del non sentirsi liberi di esprimersi, di non sentirsi liberi di mostrare i loro pensieri e le loro emozioni.
Spesso questi bambini crescono in un clima di giudizio e di costante valutazione, dove i genitori rivestono in loro elevate aspettative, racchiudendo nei figli tutto di ciò che non sono riusciti a realizzare.
Questo clima può portare il bambino a sentire che i propri bisogni non sono riconosciuti e che, per essere visti dai genitori, bisognerà fare soltanto cose “grandiose”.
Così, il bambino sarà costantemente alle prese con il cercare di capire come i genitori vogliono che lui sia per essere ben voluto e accettato.
Crescendo in un tale contesto familiare la persona non è in grado di poter strutturare un proprio modo di esistere nel mondo, perché troppo occupato a capire come dovrebbe essere piuttosto che come vorrebbe.
Ciò significa, quindi, che il narcisista è incessantemente alla ricerca di un modello, di qualcuno su cui potersi appoggiare per sentire di esistere.
Nancy Mc Williams (2011) ipotizza che le persone con una personalità narcisista possano aver avuto un’importanza per i genitori non per quel che erano ma per la funzione che svolgevano. Questo avrebbe portato allo sviluppo di quello che Winnicott ha chiamato “Falso Sé” (1965, p. 176), che condurrebbe la persona a mostrare agli altri solo gli aspetti che vengono ritenuti socialmente accettabili in funzione di ciò che si è imparato nelle prime relazioni significative.
Crescendo in un contesto familiare in cui il bambino è apprezzato solo per la sua funzione, egli inizierà a pensare che se verranno scoperti i suoi sentimenti reali (specialmente quelli ostili o egoistici) verrà rifiutato o umiliato.
Khout (1977) ha parlato del fallimento empatico dei genitori che non avrebbero risposto in modo adeguato ai bisogni del Sé del bambino impedendone uno sviluppo armonico e coeso, bloccando così il piccolo in modi di relazionarsi molto primordiali ed esasperati dalla frustrazione.
Le persone narcisiste, quindi, reagirebbero con la rabbia alle critiche e ai fallimenti perché essa è un’emozione che gli permetterebbe di riguadagnare un senso di coesione di se stessi.

NARCISISMO E I BENEFICI DELLA PSICOTERAPIA
Al di là dell’abbracciare una o più specifiche teorie in merito, una cosa è certa: come sottolinea Mc Williams (2011) con le persone narcisiste si è costantemente alle prese con problemi connessi alla loro autostima.
Esse sono così impegnate nell’essere rassicurate sul proprio valore che questo toglie loro ogni energia rispetto alla possibilità di amare, Nancy Mc Williams parla proprio di “arresto dello sviluppo della capacità di amare” (ibidem, p. 213).
La costante ricerca di sicurezze circa il proprio valore è il modo in cui il narcisista sente che può esistere.
Anche in questo caso l’approccio terapeutico varia molto in funzione dell’idea che il terapeuta ha di sviluppo dell’essere umano e delle cause dell’insorgenza di una personalità narcisista.
Nel lavoro con i miei pazienti con personalità narcisiste mi accorgo spesso di quanto sia delicato il processo che permette di entrare in relazione con loro: inizialmente è come se io non ci fossi. Specialmente con i pazienti che Rosenfeld ha definito “a pelle spessa” ho spesso la sensazione che nei primi mesi di terapia loro mi “utilizzino” per mostrarmi tutte le loro doti e le loro capacità, per sentirsi apprezzati e ammirati. Qualsiasi cosa io dica ha poca importanza, purché non minacci il loro senso di valore. Ed è la sensazione che spesso avvertono le persone che sono in relazione con un narcisista.
Il paziente narcisista “a pelle sottile”, invece, credo sia più complesso da individuare poiché il suo desiderio di essere visto come grandioso viene celato dal suo relazionarsi in modo molto controllato per non rischiare di provare angosciosi sentimenti di vergogna.
Io credo, però, che nel corso del tempo per questi pazienti fare esperienza di un terapeuta che c’è, è presente, lo accoglie e lo accetta anche nelle imperfezioni (che di tanto in tanto si lascia sfuggire in terapia), permette poi di iniziare ad entrare in contatto con quel terribile dolore che è per il narcisista non sapere chi è.
Smettere di vivere su un costante palcoscenico è un compito spaventoso per la persona narcisista ma è un processo che pian piano può essere avviato attraverso la relazione terapeutica e che può condurre il narcisista a sentire ciò che vive, interrogarsi su come vorrebbe essere e poter costruire la possibilità di amare ed essere amato.

C’è una profonda fragilità in chi ha bisogno di sentirsi grandioso, o in chi è costantemente alla ricerca del sentirsi tale, e questa fragilità va maneggiata con cura e pazienza per poter essere trasformata.

 

Riferimenti bibliografici

Akhtar S. (2000), The shy narcissist, Sandler J., Michaels R., Fonagy P. (a cura di), Changing ideas in a changing world: the revolution in psychoanalysis. Essays in honor of Arold Cooper, Karnac Ed., London, pp. 111-119;

Bateman A. (1998), Thick and Thin-skinned organizations and enactment in borderline and narcissistic disorder, The International Journal of Psychoanalysis, 79, pp. 13-25;

Bernardi R., Eidlin M. (2018), Thin-skinned or vulnerable narcissism and Thick skinned or grandiose narcissism: similarities and difference, The international Journal of Psychoanalysis, 99, 2, pp. 291-313;

Gabbard G.O. (1989), Two subtypes of narcissistic personality disorder, Bulletin of the Menninger Clinic, 53, pp. 527-539;

Jones E. (1913), Essays in Applied Psycho-Analysis, vol. II, International Psycho-Analytical Press, London (trad. it. Saggi di psicologia applicata. Folklore, antropologia, religione, vol. II, 2021, Guaraldi Editore, Firenze);

Lingiardi V., Gazzillo F. (2014), La personalità e i suoi disturbi. Valutazione clinica e diagnosi al servizio del trattamento, Raffaello Cortina Editore, Milano;

Lingiardi V., Mc Williams N. (a cura di) (2020), Manuale Diagnostico Psicodinamico. Seconda Edizione, PDM-2, Raffaello Cortina Editore, Milano;

Kernberg O.F. (2004), Aggressivity, narcissism, and self-destructiveness in the psychoterapeutic relationship, Yale University Press, London;

Khout H. (1977), The Analysis of the Self. A systematic approach to the psychoanalytic tratment of narcissistic personality disorders, The University of Chicago Press, Chicago (trad. it. Narcisismo e analisi del Sé, 1977, Bollati Boringhieri, Torino);

Mc Williams N. (2011), Psychoanalytic diagnosis. Understanding personality structure in the clinical process, The Guilford Press, NY;

Reich A. (1960), Pathological forms of self-esteem regulation, Psychoanalytic Study of the Child, 15, pp. 215-231;

Winnicott (1965), La distorsione dell’Io in rapporto al vero e al falso Sé, Sviluppo affettivo e ambiente, Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, Roma, pp. 170-182.

 

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