Alienazione genitoriale: quando il conflitto dei genitori ingloba i figli

LA SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE (PAS)

La sindrome da alienazione parentale, Parental Alienation Syndrome (PAS), fu formulata per la prima volta dallo psichiatra Richard Gardner negli anni ottanta. Egli la definì come una sindrome che si manifesta in situazioni di separazioni conflittuali in cui vi è una disputa per la custodia dei figli.
Si tratterebbe di un lavoro di “indottrinamento/programmazione” (Di Blasio, 2013, p. 315) immotivato da parte del genitore alienante sul figlio, per screditare o denigrare l’altro genitore che diventa, in tal modo, alienato.
Per poter parlare di PAS occorre che i tentativi di allontanare un figlio dall’altro genitore non siano dovuti alla presenza di un reale pericolo per il figlio, e che ci sia una partecipazione attiva del minore nella campagna denigratoria del genitore.
Secondo Gardner (1998), l’esposizione del figlio al genitore alienante trasmetterebbe al primo la sensazione di minaccia incombente nel frequentare il genitore alienato e ciò potrebbe portare allo sviluppo di psicopatologie del bambino quali, ad esempio, l’ansia da separazione o il disturbo della condotta. Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono i vari attori coinvolti nella PAS?

Il genitore alienato: spesso rischia di assumere un comportamento vittimistico e di rinforzare le credenze del figlio di inadeguatezza o impotenza. Può vivere il rapporto con il bambino alternando momenti di ostilità ad altri di distanziamento, non riuscendo a trovare modalità relazionali alternative per fronteggiare le difficoltà nell’interazione.
Può tendere ad attribuire le cause delle difficoltà relazionali esclusivamente all’altro genitore.
Il genitore alienante:
solitamente può non accettare la fine del rapporto di coppia e considera l’altro come unico responsabile della separazione. Non riesce a distinguere il ruolo di coniuge da quello di genitore né ad individuare i bisogni del figlio come diversi dai propri, al punto da coinvolgere il figlio nelle dinamiche conflittuali tra i genitori.
Manifestazioni del disagio nel bambino:
in situazioni di alienazione parentale, il bambino sarebbe restìo a passare da un’abitazione all’altra, potrebbe non voler vedere il genitore (generalmente il non collocatario) in occasione delle visite, o mettere in atto capricci o proteste nel momento in cui deve allontanarsi dal genitore prediletto (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2013).
In una ricerca (Malagoli Togliatti et al., 2012) è emerso che i bambini che si trovavano in situazioni di rifiuto nel vedere un genitore in casi di separazione, presentavano una “condizione di malessere psicoemotivo” (Malagoli Togliatti, Lubrano Lavadera, 2013, p. 328) ed in particolare tra le problematiche più frequenti vi erano:  una diminuzione della stima di sé, problematiche psicosomatiche, affettive e di identità.

LA PAS: UN COSTRUTTO CHE DIVIDE IL MONDO SCIENTIFICO

La Sindrome da Alienazione Parentale divide i professionisti rispetto alla sua validità scientifica. Alcuni sostengono che non possa essere considerata in quanto assente nei principali manuali diagnostici, quali ad esempio il DSM-5, e che non possiede sufficienti indagini empiriche che ne testimoniano l’esistenza  (Brunch, 2001 p. 323). Inoltre, il rischio sarebbe quello di utilizzare la PAS  come “arma” da parte di genitori che commettono realmente violenza (Wood, 1994, Faller, 1998).
Il costrutto, però, ha imposto la necessità di portare avanti indagini e riflessioni in merito per via della presenza di difficoltà nelle relazioni tra genitori e figli durante i processi di separazioni giudiziarie.

Tra coloro che hanno approfondito il concetto, in molti sostengono che sia necessario un ripensamento del costrutto per focalizzarsi, non tanto sulla problematica dell’etichettamento diagnostico, quanto piuttosto sul tipo di utilità che può avere considerare la presenza di un’alienazione parentale. In virtù di questo c’è chi identifica la PAS più come un “disturbo” che come una “sindrome” e pone l’accento sulla necessità di individuare la possibile presenza di disagi emotivi che i bambini possono vivere a seguito della continua esposizione al conflitto dei genitori (Cavanna, 2013). Inoltre, sembrerebbe non sia funzionale considerare l’alienazione parentale come una malattia ma che, piuttosto, bisognerebbe tenere conto del funzionamento familiare per individuare eventuali problematiche che possano ripercuotersi sul benessere dei figli (Camerini, 2012). 
Darnall (1999) propose di utilizzare esclusivamente il termine di “alienazione parentale” per evidenziare una serie di comportamenti (più o meno consapevoli) che possono ripercuotersi sulla qualità della relazione genitore-figlio e dove il focus non è su un disturbo che può colpire il bambino, quanto piuttosto su quanto i comportamenti dei genitori possono incidere negativamente sul figlio.

Probabilmente uno dei rischi nel concepire la PAS così come ipotizzata da Gardner potrebbe essere quello di considerare il bambino come “malato” e unico protagonista delle difficoltà familiari. Altri rischi potrebbero essere quelli di non prendere in esame il contributo di entrambi i genitori nel creare e mantenere le dinamiche disfunzionali in famiglia, il non riconoscere la difficoltà che possono vivere i genitori nel distinguere i propri sentimenti verso il partner da quelli provati nei confronti del figlio, e il rischio di confondere i segnali comunicativi del bambino con quelli del genitore.

Sarebbe utile, a mio avviso, considerare il concetto di “alienazione genitoriale” come un fenomeno indicativo di un disagio che coinvolge l’intero sistema relazionale familiare e che trae origine da un insieme di elementi che si integrano tra loro e che possono diventare sia delle risorse che degli ostacoli durante una separazione.

Kelly e Johnston (2001), hanno evidenziato diversi elementi che possono aiutare i genitori durante o dopo la separazione, così come alimentare disagi e disfunzionalità.
Vediamo quali sono i fattori che possono influenzare la relazione genitore-figlio a seguito, o durante, una separazione coniugale:

  • i comportamenti e le credenze dei genitori;
  • la relazione tra i fratelli;
  • la resilienza o la vulnerabilità dei figli;
  • la presenza o meno di nuovi partner ;
  • gli atteggiamenti ed i comportamenti della famiglia di origine.

Personalmente, condivido la posizione rispetto alla quale la resistenza di un figlio nel vedere uno dei due genitori non può essere compresa prendendo in esame un solo fattore, ma è necessario considerare ogni persona del nucleo familiare e mantenere il focus sia sulle caratteristiche individuali, sia su quelle relazionali e del contesto sociale allargato.

QUANDO IL BAMBINO È PARTE “ATTIVA” NEL CONFLITTO

Parlando della PAS, Gardner sottolineava come una delle caratteristiche della Sindrome fosse un ruolo “attivo” del minore nel conflitto. Essere parte della conflittualità familiare, non significa causarla, né tantomeno provocarla volontariamente in modo “masochista”. Per bambino “attivo” nel conflitto possiamo intendere un figlio che trova, attraverso la vicinanza ad un genitore piuttosto che ad un altro, la sua personale modalità per affrontare la sofferenza della separazione dei genitori.

Talvolta un figlio può mettere in atto dei comportamenti proprio per regolare la relazione tra la mamma e il papà, perdendo in qualche modo il ruolo di figlio ed assumendo quello di “adulto”, cambiamento che spesso viene sostenuto da uno o entrambi i genitori.
Il rischio maggiore per i minori in queste situazioni è che genitori perdano di vista l’individualità del figlio, confondendo i propri bisogni, i desideri ed i propri vissuti emotivi con quelli del bambino.
L’esito di questi rapporti “fusionali” sta nel genitore che più o meno volontariamente parla male dell’altro davanti al figlio, o nel genitore che ritene che quanto detto dal bambino sia frutto di un “lavaggio del cervello” dell’ adulto.

Nel caso di figli adolescenti, essi hanno accesso ai processi globali di elaborazione e possono costruirsi un significato su ciò che sta accadendo alla coppia genitoriale, il che gli permetterebbe di elaborarne la separazione. D’altro canto, proprio in virtù delle maggiori funzioni mentali acquisite, possono prender parte attiva nel conflitto familiare.
Per i bambini la questione è più delicata. Attraverso la relazione con i genitori imparano a costruire i rapporti, ad esprimersi, a costruire se stessi, a conoscere le proprie e altrui emozioni. Relazioni primarie disfunzionali o assenti possono creare, ad esempio, delle difficoltà proprio nello sviluppo di queste competenze.
Come ricordano Craba e Nicolò (2013) se i genitori riescono a vivere il figlio come individuo separato, saranno anche in grado di coglierne le esigenze ed adeguare i propri comportamenti in base ad esse.

AIUTARE I BAMBINI ATTRAVERSO IL SOSTEGNO AI GENITORI: POSSIBILI INTERVENTI

Nella pratica professionale ritengo che gli aspetti più difficili da cogliere siano i modi in cui la conflittualità genitoriale si esprime nel rapporto con i figli: dalla seduttività di un genitore, alla manipolazione, all’intrusività. Credo che sia ancora più delicato esplorare e verificare la presenza di un reale contesto familiare violento e le forme che la violenza domestica può assumere.

I genitori che affrontano una separazione conflittuale vanno aiutati a potenziare o costruire le proprie risorse genitoriali e vanno sostenuti nello sviluppare o nell’incrementare la loro capacità di mettersi nei panni del figlio, di ascoltarlo, di saper comunicare con lui, incoraggiandoli anche ad imparare nuovamente una forma comunicativa che sia funzionale tra di loro.
Il lavoro con i genitori è un lavoro per i genitori e per i figli poiché il potenziamento delle risorse dei primi influenza lo sviluppo e la qualità di vita dei secondi.
Ma, affinchè i genitori possano essere aiutati ad uscire dalla conflittualità, è necessario un lavoro congiunto tra tutti i professionisti che seguono il caso.
Dalla Legge 8 Febbraio 2006 n. 54 (“Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”) in poi, si è diffusa sempre di più l’idea che nei casi di separazione conflittuale sia necessario (laddove possibile) integrare le competenze tra professionisti per poter pensare ed attivare interventi multidimensionali che promuovano il benessere familiare e permettano di creare un nuovo equilibrio a tutela del minore.

La genitorialità è una competenza che va costruita e coltivata, è un “processo di co-costruzione condivisa” (Craba, Nicolò, 2013, p. 118) che può essere esercitata grazie all’impegno di entrambi i genitori.
A mio avviso vanno valorizzate, sviluppate o costruite, in modo particolare durante il processo di separazione tra i coniugi, alcune capacità genitoriali:

  • prendersi cura del figlio;
  • poter pensare al bambino come individuo unico e differenziato dall’adulto;
  • essere in grado di supportare il minore ed intervenire in favore di esso senza altri fini se non il suo benessere;
  • essere capace di collaborare con l’altro genitore anche se ormai si è separati da esso (Melidone, 2012).

 

Riferimenti bibliografici

Brunch C.S. (2001), Parental Alienation Syndrome: Junk science in child custody determinations, European Journal of Law Reform, 3, 383-404;

Camerini G.B. (2013), Definire la PAS, Dibattito sulla validità e affidabilità scientifica della Sindrome da Alienazione Parentale (PAS), Psicologia Clinica dello Sviluppo, XVII, 2, pp. 315-346;

Cavanna D. (2013), Pas: sindrome o disturbo?, Dibattito sulla validità e affidabilità scientifica della Sindrome da Alienazione Parentale (PAS), Psicologia Clinica dello Sviluppo, XVII, 2, pp. 315-346;

Craba A., Nicolò A.M. (2013), Sindrome da alienazione parentale: riflessioni e perplessità, Interazioni. Clinica e ricerca psicoanalitica su individuo-coppia-famiglia, 37, 1, pp. 115-125;

Darnal D. (1999), Parental alienation: not in the best interest of the children, North Dakota Law Review, 75, pp. 323-364;

Di Blasio (a cura di) (2013), Dibattito sulla validità e affidabilità scientifica della Sindrome da Alienazione Parentale, Psicologia Clinica dello Sviluppo, XVII, 2, pp. 315-346;

Faller K.C. (1998), The Parental Alienation Syndrome: what is it and what data support it?, Child Maltreatment, 3 (2), pp. 100-115;

Gardner R.A. (1998), The Parental Alienation Syndrome: a guide for mental health and legal professionals, Creative Therapeutics, New Jersey; 

Kelly J.B., Johnston J.R. (2001), The alienated child: a reformulation of Parental Alienation Syndrome, Family Court Review, 39, pp. 249-266;

Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A., Alvaro F. (2012), Prevenire e curare la rottura delle relazioni familiari, Roma 13 dicembre 2012;

Malagoli Togliatti M., Lubrano Lavadera A. (2013), La prospettiva sistemico-ecologica, Dibattito sulla validità e affidabilità scientifica della Sindrome da Alienazione Parentale (PAS), Psicologia Clinica dello Sviluppo, XVII, 2, pp. 315-346;

Melidone I. (2012), Dalla diade coniugale alla triade relazionale: la sfida della condivisione genitoriale, in I. Caruso, M.C. Mantegna (a cura di), Aiutare le famiglie durante la separazione. Dalle linee guida alla definizione dell’intervento per gestire il “diritto di visita”, Franco Angeli, Milano;

Wood C.L. (1994), The Parental Alienation Syndrome: a dangerous aura of reliability, Loyola of Los Angeles Law Review, 29, pp. 1367-1415.

 

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