GHOSTING, BREADCRUMBING, PAPERCLIPPING… LE RELAZIONI CHE NON DECOLLANO NELL’ERA MODERNA

In rete, e con le mie pazienti più giovani, sono di recente incappata con curiosità in alcuni neologismi creati, più o meno appositamente, per indicare fenomeni relazionali sempre più presenti nell’epoca delle relazioni moderne.

Quando mi riferisco alle relazioni moderne, penso a quei rapporti che si creano e si “consumano” all’interno della società contemporanea che fonda nella velocità un valore e nel moto perpetuo le sue fondamenta.
Il sociologo Bauman (2007), descrivendo lo stile di vita nella società contemporanea si riferisce ad essa come ad una “liquid modern life” (p.4), ovvero una vita in cui tutto si compone e decompone rapidamente, in cui i tempi contemporanei sono quelli dove il cambiamento deve essere una costante. Il rischio diventa poi quello di vivere nella convinzione che l’incostanza sia l’unica certezza.
Non c’è da stupirsi dunque se le relazioni odierne sono la cartina tornasole di tutto questo e se esse si vanno caratterizzando per la rapidità con cui iniziano e terminano, per la confusione identitaria con cui prendono forma e per l’insoddisfazione che creano.

GHOSTING, BREADCRUMBING E PAPERCLIPPING: NEOLOGISMI RELAZIONALI
Siamo costantemente alle prese con relazioni disfunzionali al punto che sono nati, più o meno recentemente, dei termini che non hanno riscontro nella letteratura scientifica ma che vengono utilizzati molto frequentemente per indicare alcune delle problematicità che possono crearsi durante una relazione affettiva. Il primo tra questi ad entrare nel linguaggio comune è stato “ghosting”.
Vediamo più nel dettaglio i termini utilizzati ed il loro significato nel campo relazionale:

  • ghosting: dal verbo inglese “to ghost”, significa “muoversi di soppiatto, come un fantasma”. È un vocabolo che ha iniziato a circolare nel 2014, fin quando addirittura nel 2015 è entrato tra le parole chiave dell’epoca contemporanea ed è stato inserito nel libro “Atlante delle Cose Nuove. Il mondo che cambia in quarantotto parole”, redatto da Andrea Girolami (esperto di tecnologie e comunicazioni). Tuttavia, il termine nell’accezione più relazionale, comparve nel 2015 in un articolo del New York Times dove veniva descritto il comportamento di Charlize Theron che avrebbe lasciato Sean Penn facendo, appunto, ghosting: ovvero sparendo e smettendo di rispondere ai suoi messaggi e alle telefonate. L’attività del ghosting corrisponderebbe, quindi, allo sparire senza lasciare traccia nel corso di una relazione;
  • breadcrumbing: letteralmente “pangrattato” e, tradotto nell’accezione relazionale, viene inteso come un utilizzo di attenzioni o premure minime verso l’altro, un gettare “briciole di pane”, tese soltanto a mantenere l’altro vicino a sé per impedirgli di allontanarsi, e non per costruire una relazione appagante. Questo atteggiamento si traduce nell’avvio di una relazione ambigua e contraddittoria, fatta di ripetuti avvicinamenti e allontanamenti. In questo modo non si avvia mai una vera e propria relazione affettiva, ma rimane il dubbio della presenza o meno di un interesse dell’uno verso l’altro;
  • paperclipping: “fermare con una graffetta qualcosa”. Anche questo termine, nella sua accezione relazionale, nasce nell’epoca contemporanea e più precisamente nel contesto digitale dove l’autrice e illustratrice Samantha Rothenberg, utilizzando l’immagine di una graffetta, parla su Instagram del termine paperclipping come l’azione di chi sa che l’altro è lì a disposizione ma, nel timore che si stanchi di rimanere ad aspettare, ogni tanto si fa nuovamente vivo per mantenere acceso l’interesse nell’altra persona.

I termini non sono finiti, ce ne sarebbero altri che via via vanno a caratterizzare l’alfabetizzazione delle relazioni nell’epoca contemporanea. Ho preso questi ad esempio per indicare alcune delle dinamiche che vanno a caratterizzare delle interazioni tra persone che non hanno la possibilità di trasformarsi in relazioni affettive consistenti e durature.

MANCANZA DI RELAZIONI AFFETTIVE: TRA DESIDERIO E PAURA
Nelle relazioni disfunzionali che non riescono ad evolvere in vere e proprie relazioni affettive spesso si ha la sensazione che ci sia un inseguitore e un inseguito, uno dei due che cerca ed uno che è cercato, che si è all’interno di un rapporto sbilanciato in cui manca la sensazione di reciprocità.
Al di là di quale posizione ci si sente di ricoprire nel rapporto che non evolve, queste relazioni vedono la presenza di due persone che sono bloccate nel conflitto tra il desiderio di costruire un rapporto significativo e la paura di farlo.
Può sembrare un paradosso, ma il desiderio e la paura dell’intimità possono essere due lati della stessa medaglia i quali, però, non trovano un’integrazione tra loro.
Come si fa strada questo conflitto nei due partner?

Chi fugge dalle relazioni: in questo caso ciò che spicca di più all’occhio esterno è la paura della persona di investire in una relazione. Può essere presente però, al contempo, anche un forte desiderio di entrare in un rapporto affettivo ma la persona stessa può ritenersi (più o meno consapevolmente) immeritevole di affetto da parte dell’altro oppure può considerare l’altro inaffidabile e, quindi, non degno di amore.

Chi “insegue”: in questo caso ciò che spicca di più all’occhio esterno è il desiderio di costruire una relazione intima. Assieme a questo forte desiderio, però, può esserci (spesso a livello non consapevole) una grande paura di costruire un’intimità con qualcuno. Per cui, sempre a livello inconsapevole, si possono mettere in atto dei comportamenti che invece di avvicinare il partner lo allontanano.

La presenza, in entrambi i partner, sia del desiderio che della paura dell’intimità genera un’interazione ambivalente che porta con sé un mix di emozioni e una confusione sulla capacità di leggere i segnali che ognuno dei due partner reciprocamente si invia.
Come ci ricordano Dalle Luche e Bertacca (2007) ogni rapporto affettivo può essere ambivalente, gli investimenti che ognuno di noi fa sull’altro non sono mai totalmente buoni o totalmente cattivi. Passata la prima fase di idealizzazione reciproca, i rapporti si caratterizzano per essere una combinazione di aspetti positivi e negativi. L’ambivalenza diventa distruttiva del legame quando si protrae nel tempo, è intensa e si irrigidisce, portando nel rapporto soltanto il suo potere distruttivo.
Ciò che rende inconsistenti queste relazioni è il fatto che le interazioni tra il desiderio e la paura del rapporto avvengono spesso in modo inconsapevole nei partner e, quindi, ognuno dei due è all’oscuro dei propri personali aspetti conflittuali.
Facciamo un esempio: una persona che inizia a corteggiarne un’altra per settimane per poi sparire dopo qualche tempo perché non si sente più interessato o in grado di portare avanti quella relazione, non è detto che si allontani perché è insensibile. È possibile, invece, che abbia avvertito in modo più o meno forte qualche segnale di “pericolo emotivo” nell’avvicinarsi intimamente ad un’altra persona. Questo allarme però non viene avvertito in modo chiaro dalla persona che lo vive, ma solo come sensazione spiacevole da eliminare al più presto. Così, allontanandosi dal rapporto, si va ad eliminare quel vissuto spiacevole provato ogni volta che la relazione sembra prendere una piega più intima.
Se la persona in questione sta provando una percezione di allarme a cui non riesce né dare un nome né un significato, immaginiamoci quanto l’altro partner possa essere confuso di fronte ai comportamenti dell’altro!
Questo è soltanto un esempio per mettere in evidenza quanto a volte le relazioni non evolvono perché ci sono tantissimi aspetti personali che i due partner mettono in campo nel loro interagire ma di cui sono totalmente ignari! Questi aspetti, però, influenzano fortemente la relazione e possono contribuire a metterla in crisi o ad interromperla sul nascere.
Ma da cosa dipende la costruzione di una relazione appagante?

L’IMPORTANZA DEGLI STILI DI ATTACCAMENTO E DELLE PRIME RELAZIONI SIGNIFICATIVE
Un adulto sicuro di sé e che ha fiducia nell’altro, è un adulto che ha avuto la possibilità di creare un rapporto di qualità con le prime figure che si sono occupate di lui dalla nascita.
Molto di come noi siamo nelle relazioni che costruiamo dipende dall’esperienza che abbiamo avuto del nostro primo legame affettivo: il rapporto con la madre.
Da questo rapporto prende vita lo stile di attaccamento che ognuno sviluppa verso l’altro significativo, e che poi tende a rivivere nei propri rapporti in età adulta poiché esso diventa un modello stabile nel tempo.
Lo psicoanalista J. Bowlby (1969) descrisse l’attaccamento come una propensione innata e istintiva a cercare la protezione di un membro della propria specie. Esso ha la funzione biologica di proteggere il bambino e quella psicologica di fornire sicurezza. Una buona relazione con la prima figura di attaccamento (caregiver) crea nel bambino una “secure base” (Ainsworth et al., 2015, p. 13) che permette al piccolo di esplorare con tranquillità l’ambiente circostante, sapendo di avere un “porto sicuro” dove tornare dopo aver curiosato nel contesto ignoto che si trova attorno. Se il bambino sente di non poter fare affidamento sul caregiver, metterà in atto una serie di strategie difensive volte ad evitare il dolore e la paura dovuti a tale indisponibilità.
Sempre durante l’infanzia, le diverse configurazioni relazionali che si creano nel rapporto caregiver/bambino vanno formando delle rappresentazioni mentali che Bowlby ha definito una sorta di “working model” (1969, p.82), ovvero dei modelli operativi. Essi costituiscono una sorta di mappa interiore con cui il bambino si orienta e compie scelte per rispondere a delle situazioni che si presentano; situazioni che possono generare anche bisogni o timori.
Questa mappa si costruisce nei primi anni di vita, ma può essere ridefinita sulla base dei cambiamenti esterni o della relazione con la figura di attaccamento. Inoltre, secondo Bretherton e Munholland (1999), i bambini integrano questa mappa con ulteriori elementi derivanti dai rapporti con altre figure significative. Tale mappa, inoltre, muta e si trasforma nel corso dello sviluppo della relazione primaria di attaccamento ed orienta il bambino lungo tutto il suo percorso di crescita, anche nelle relazioni che egli costruirà da adulto.
I Modelli Operativi Interni, dunque, sono schemi che nascono da piccoli ma ci guidano poi in ogni relazione significativa della nostra vita. Infatti, la modalità interattiva e affettiva che l’adulto mette in atto nella relazione con il partner “è simile a quella osservata in età infantile dai partner all’interno delle rispettive relazioni con la figura di attaccamento” (Giusti, Bianchi, 2012 , p. 18).
Per questo è importante la qualità delle prime relazioni affettive!
In particolare, secondo Attili (2007), sembra ci siano alcune dimensioni specifiche che l’adulto va poi ricercando nel partner e che derivano proprio dalle prime relazioni con le figure di attaccamento. Queste dimensioni sono:
– la ricerca del mantenimento del contatto;
– la base sicura, il rifugio sicuro;
– l’ansia da separazione.
Un bambino che non ha avuto la possibilità di sperimentare una relazione soddisfacente con le sue prime figure significative, che non si è sentito sicuro e amato nelle sue primissime relazioni, sarà quindi un adulto che avrà difficoltà nel costruire rapporti dove amare ed essere amato e in cui riuscire a fidarsi e ad affidarsi all’altro.

COME SI EVITA DI COSTRUIRE RELAZIONI NON SODDISFACENTI?
Non si finisce per caso in relazioni che fanno soffrire o non sono appaganti. Ognuno di noi ricrea nelle relazioni importanti da adulto ciò che ha appreso nelle sue prime relazioni importanti, e se in quelle prime relazioni qualcosa è andato storto, la persona tenderà a rivivere in modo simile quelle problematiche nei suoi rapporti futuri.
Un bambino che impara la non disponibilità del genitore nel momento in cui lui ha bisogno di essere rassicurato, sarà un adulto che crederà non esista una persona disponibile per lui nel momento del bisogno. Se al bambino non gli è stato permesso di allontanarsi dal cargiver per esplorare il mondo circostante perché vissuto come minaccioso, sarà un adulto che dipenderà dagli altri in qualsiasi cosa egli faccia.
Questi sono solo alcuni esempi che mettono in evidenza come le difficoltà relazionali abbiano radici profonde, ma nonostante questo è possibile costruire relazioni più appaganti ed andare a modificare quelle “mappe mentali” che orientano i rapporti significativi. Per farlo occorre mettersi in discussione, ascoltare se stessi, ascoltare l’altro e cosa si prova quando si sta in relazione con lui, chiedersi cosa si desidera per sé da un rapporto e cosa si cerca nell’altra persona. E non è tutto! Imparare ad ascoltarsi significa anche entrare in contatto con i vissuti più spiacevoli, come quelli della paura o della rabbia, per poterne capire il senso e il perché si attivino proprio in determinati momenti nell’interazione con il partner.

IN AIUTO ARRIVA LO PSICOLOGO!
Non è affatto facile mettersi in ascolto di se stessi, né tantomeno osservare l’altro senza le nostre abituali “griglie” di lettura della realtà. Per imparare a cogliere ciò che ci succede interiormente, dargli un senso, e comprendere a fondo i nostri desideri rispetto all’intimità relazionale, può venire in aiuto lo psicologo. Il lavoro terapeutico, infatti, si caratterizza come una sorta di palestra in cui darsi nuove possibilità di costruire rapporti affettivi e poter allenare nuove mappe relazionali che nel corso del processo terapeutico possono andarsi a costituire.
Lo psicologo allena il paziente ad un costante processo di riflessione su se stesso e sui rapporti con gli altri. Questo non deve spaventare! Generalmente terapeuta e paziente iniziano un viaggio alla scoperta del mondo interiore del paziente e delle caratteristiche del loro rapporto che si va formando. Questo viaggio arricchisce il paziente stesso durante il suo percorso di vita, permettendogli anche la scelta di partner più compatibili con lui poiché scelti in modo autentico sulla base dei propri bisogni e dei propri desideri.

Riferimenti bibliografici

Ainsworth M.D.S., Blehar M.C., Waters E., Wall S.N. (2015), Patterns of Attachment. A psychological study of Strange Situation, Psychology Press, New York, NY;

Attili G. (2007), Attaccamento e costruzione evoluzionistica della mente. Normalità, patologia, terapia, Raffaello Cortina Editore, Milano;

Bauman Z. (2007), Liquid Times: Living in an Age of Uncertainty, Polity Press, Cambridge, Uk;

Bowlby J. (1969), Attachment and Loss. Volume I, Attachment, Basic Book, New York, NY;

Bretherton I., Munholland K. A., (1999), Internal Working Models in attachment relationships: an construct revised. In J. Cassidy, P. R. Shaver (Eds.), Handbook of attachment: Theory, Research, and clinical applications (pp. 89-111). New York: The Guilford Press;

Dalle Luche R., Bertacca S. (2007), L’ambivalenza e l’ambiguità nelle rotture affettive, Franco Angeli, Milano;

Giusti E., Bianchi E. (2007), Evolvere rimanendo insieme. Ricerche sulla longevità dei rapporti di coppia per consolidare l’amore e recuperare l’intimità, Sovera Editore, Roma;

The New York Times (2015), Readers respond to Ghosting, consultato su https://www.nytimes.com/2015/06/29/fashion/readers-respond-to-ghosting.html, il 9.05.2022.

Torna all’homepage