COME NASCE UN PAPÀ: RISORSE E OSTACOLI NELLA COSTRUZIONE DEL RUOLO GENITORIALE

Questo articolo prende spunto dalle riflessioni che nascono nel mio studio dove arrivano tanti papà in cerca di aiuto, o semplicemente di risorse in più, per affrontare il loro difficile ruolo.
Ma perché difficile? Diciamocelo: il papà, rispetto alla mamma, arriva nove mesi dopo. E quei nove mesi di gestazione creano un legame viscerale tra la figura materna ed il piccolo esserino che nascerà; legame che può dare l’impressione al papà di essere sempre “in affanno” rispetto alla posizione che ricopre la figura genitoriale femminile.

IL PAPÀ NON VIENE DOPO LA MAMMA! PERCHÉ È IMPORTANTE LA FUNZIONE PATERNA
Abbandoniamo l’idea che solo la madre sia decisiva nello sviluppo del bambino nei primissimi anni di vita.
Troppo spesso leggo che la funzione paterna, nelle fasi iniziale di costruzione del nuovo assetto familiare, serve a proteggere la diade madre-bambino e la loro interazione funzionale alla crescita del piccolo nuovo arrivato. Il papà non è solo questo!

Il rischio che si corre è quello di considerare la funzione paterna esclusivamente connessa alla relazione madre-bambino. Pozzi (2014) mette in luce proprio come la maggior parte della letteratura contemporanea ponga il focus sul ruolo del papà in relazione alle dinamiche che si sviluppano tra madre e figlio.

Il ruolo del papà, però, va al di là della funzione di protezione della diade mamma-bambino.

Winnicott (1965) parla della funzione paterna come qualcosa che consente al bambino di uscire dalla condizione di dipendenza assoluta nel rapporto con la madre.
Lo psicoanalista francese Jean Cournut (2001) ci fa riflettere su come il padre faccia parte di una triade familiare e che, nell’interazione con il proprio figlio, contribuisce a far sì che il bambino impari a riconoscere l’alterità; alterità che è una precondizione necessaria per lo sviluppo del pensiero e per l’uscita dalla simbiosi con la figura materna.

L’uscita dal rapporto fusionale con la mamma è importantissima! La mamma spesso rappresenta un continuo appagamento dei desideri del figlio, poiché è la figura sempre pronta ad appagare i desideri del piccolo bisognoso. Questo genera l’illusione che il figlio possa vedere in eterno i propri desideri soddisfatti. Ed è qui che entra in gioco il papà: nel relazionarsi con il piccolo permette l’allentamento della diade fusionale. Cosí facendo, il genitore accompagna il bambino nell’uscita dalla condizione illusoria di vedere i propri bisogni costantemente soddisfatti. Uscire da questa condizione significa per il bambino compiere i primi passi verso la costruzione della sua autonomia.
Senza dubbio il papà ha un ruolo cruciale nell’interrompere la fusione iniziale tra madre e bambino; ma non ha soltanto questo compito.
Foresti (2014) sottolinea che la perdita culturale del concetto di maschio come “sesso forte” ha comportato all’uomo la necessità di una grande messa in discussione, poiché nella società contemporanea all’uomo ora vengono richieste anche competenze affettive e relazionali e non solo quelle più “normative” che attengono al padre come il genitore che insegna le regole e si occupa dello sviluppo morale del figlio.
Quindi il papà non solo entra in scena sin dai primi momenti di vita del figlio; ma lo fa mettendo in campo tutto se stesso e, sempre con tutto se stesso, contribuisce allo sviluppo dei figli.
I genitori hanno entrambi un’importanza cruciale nello sviluppo psicofisico del figlio e nella costruzione della sua identità, e non possiamo pensare che la funzione paterna sia legata esclusivamente ad alcune dimensioni di vita del figlio.
La costruzione identitaria avviene grazie alla contemporanea presenza delle funzioni genitoriali materna e paterna: quella materna più legata alla capacità della madre di essere al tempo stesso contenitiva, tollerante e appagante; e quella paterna più connessa alla capacità del padre di guidare il figlio ad un’apertura verso il mondo esterno che consente l’uscita dall’illusione del rapporto simbiotico con l’altro genitore.

COMPETENZE GENITORIALI E PATERNITÀ
Il modo di essere di ogni papà incide sullo sviluppo del modo di essere dei suoi figli e sulle sue capacità di essere genitore.

Per competenze genitoriali si intende una serie di capacità che un genitore possiede nell’occuparsi di un figlio. Queste capacità, secondo una meta-analisi di Visentin (2006), si articolano in diverse funzioni:

  • protettiva: intesa come capacità di dare un senso di sicurezza fisica, di fornire una protezione del contesto domestico in cui si abita e di facilitare l’interazione con l’ambiente;
  • affettiva: come capacità di sintonizzarsi emotivamente con il proprio figlio e saper rispondere adeguatamente alle sue necessità emotive;
  • regolativa: capacità di rispondere in modo adeguato ai bisogni del figlio, senza essere, ad esempio, intrusivo o incoerente nella risposta fornita;
  • normativa: capacità di fornire delle regole tese allo sviluppo dell’autonomia del figlio;
  • predittiva: capacità di cogliere lo sviluppo del figlio e, quindi, i cambiamenti che in lui avverranno per adeguare ad essi le sue risposte;
  • significante: capacità di attribuire un senso a bisogni e stati d’animo;
  • comunicativa: capacità di comunicare in modo coerente ed adeguato all’età ed alle competenze del figlio;
  • triadica: capacità di costruire uno spazio per il figlio altro dallo spazio diadico coniugale.

Queste competenze possono essere sviluppate e possono essere più o meno presenti in ogni genitore. Molto dipende dalle caratteristiche del papà e dal suo stile genitoriale.

Secondo lo studio condotto da Yablonsky (1988), esisterebbero 5 stili paterni:

Il padre comprensivo: è un padre emotivamente sano, capace di cogliere i bisogni del figlio e di avere atteggiamenti amorevoli nei suoi confronti. Il padre comprensivo non deve, però, essere eccessivamente protettivo né sostituirsi al figlio nei compiti che quest’ultimo dovrà affrontare. Il rischio è che il genitore diventi iper controllante o che non metta il figlio nella condizione di sperimentarsi nel mondo;

il padre coetaneo: può essere un padre molto amorevole ma si pone come “amico” nei confronti del figlio. Il risultato è che quest’ultimo vedrà il genitore come coetaneo e non come modello da emulare o contrastare. Al contempo il padre “usa” il figlio come sfogo per i propri problemi come fosse una relazione in cui la diade è sullo stesso livello;

il padre macho: si comporta come se la cosa più importante fosse difendere la sua mascolinità. Il figlio è un’estensione di sé e le prestazioni di quest’ultimo sono importanti solo in virtù dell’impatto che hanno sulla virilità paterna. Il risultato è che questi papà tendono a indirizzare la vita dei propri figli togliendo loro l’autonomia;

il padre psicopatico: si tratta di padri con gravi disturbi mentali che non sono in grado di essere un punto di riferimento per i figli poiché il loro stesso esame di realtà è profondamente alterato e le loro competenze emotive molto povere. Per questo non possiedono le risorse per essere un modello per i figli, né per coglierne i bisogni;

il padre egocentrico: indipendentemente se siano freddi o più accoglienti, l’atteggiamento di questi genitori è quello di vivere il figlio come un ostacolo al proprio successo e alla propria realizzazione. Sono estremamente competitivi, al punto di arrivare ad esserlo anche con i figli. Questi comportamenti nuocciono all’autostima e allo sviluppo della personalità del figlio.

Lo stile paterno è la risultante delle caratteristiche di personalità del genitore e di come esse interagiscono con gli elementi dell’ambiente circostante.
Queste caratteristiche, a loro volta, sono frutto della storia di vita del genitore stesso e contribuiscono a orientare e sviluppare le varie competenze genitoriali.

COSA PUÒ FARE DI IMPORTANTE IL PAPÀ PER I PROPRI FIGLI?
Monica Morganti (2009) parla dell’importanza che il padre istauri con i figli un rapporto emotivamente autentico, incoraggiandone lo sviluppo intellettuale, professionale e spirituale, e che insegni loro a sviluppare dei comportamenti che aumentino l’autostima e la fiducia in se stessi.

Il papà è una figura molto importante e può avere tantissime risorse da mettere in campo per il proprio figlio.
È importante, però, che anche la mamma riconosca le qualità paterne e che, talvolta riesca a “mettersi da parte” per favorire la relazione del figlio con l’altro genitore. Questo non è sempre facile per la madre, specialmente nei casi di genitori separati, perché comporta l’accettazione dell’uscita da una fase simbiotica con il figlio ed il riconoscimento del figlio stesso come altro da sé.

Quali capacità possono essere una marcia in più per i papà?
– la capacità di comunicare: comunicare in modo chiaro, adeguandosi all’età del figlio, e senza essere ambigui, aiuta a mantenere saldo il rapporto e crea una relazione aperta al dialogo e alla fiducia reciproca;

saper creare e mantenere una relazione non rigida ma flessibile: il papà deve essere in grado di adattare il proprio stile genitoriale all’età di sviluppo e alle necessità del proprio figlio che cresce;

saper favorire lo sviluppo dell’autonomia: garantire al figlio un contesto in cui potersi sperimentare a livello sociale ed iniziare a costruire, così, la propria autonomia;

essere in grado di mettere delle regole: le regole, poche, chiare e semplici, permettono al bambino di crescere avendo un contenimento e dei riferimenti precisi attorno a sé. Questo lo rassicura perché dona stabilità e prevedibilità al mondo circostante. In adolescenza, invece, le regole forniscono una specie di bussola con cui i ragazzi si orientano nel mondo e che sono anche l’elemento con cui scontrarsi e fare i conti per sviluppare la propria identità;

essere presenti ma non invadenti: essere disponibili ed accessibili ai figli nel momento in cui hanno bisogno, senza però sostituirsi a loro nelle scelte e nelle sperimentazioni.

S.O.S PAPÀ: ARRIVA LO PSICOLOGO!
Molto spesso, quando arrivano nel mio studio dei papà, sono colpita dal fatto che non si sentano adeguati rispetto al loro modo di essere genitori. Tuttavia, nel corso del nostro lavoro terapeutico, scopro spesso che essi hanno tantissime risorse ma che faticano a riconoscerle e a sentire che possano essere valide alleate nella relazione con il loro figlio.
Essere genitore è complicato perchè richiede capacità, energie, accettazione di rischi e molte altre doti … ma una cosa è certa: un genitore soddisfatto di sé, che apprezza il suo modo di essere e riesce a compiere delle scelte che lo soddisfano, sarà un genitore in grado di guidare il figlio nella costruzione della propria identità e di aiutarlo a diventare un adulto sicuro di sé e capace di affrontare gli ostacoli della vita.
Lo psicologo, in quest’ottica, aiuta il papà a diventare un uomo che si apprezza, sicuro delle proprie risorse e conoscitore dei propri limiti.
È proprio quando nasce questo tipo di uomo che prende vita un bravo papà.

Riferimenti bibliografici

Cournut J. (2001), Porquoi les hommes ont peur des femmes?, PUF, Paris, France;

G.B. Foresti (2014), La funzione paterna: fattori intrapsichici, relazionali e sociali, in La funzione paterna ieri e oggi: analogie e differenze, Bambini G. (a cura di) consultato il 4 aprile 2022 su https://www.spiweb.it/wp-content/uploads/oldfiles/images/stories/dibattito_sulla_funzione_paterna_.pdf;

Morganti M. (2009), Figlie di padri scomodi. Comprendere il proprio legame con il padre per vivere felici, Franco Angeli, Milano;

Pozzi O. (2014), Funzione paterna, in La funzione paterna ieri e oggi: analogie e differenze, Bambini G. (a cura di) consultato il 4 aprile 2022 su https://www.spiweb.it/wp-content/uploads/oldfiles/images/stories/dibattito_sulla_funzione_paterna_.pdf;

Visentin G.L (2006), Definizione e funzioni della genitorialità, consultato il 5/4/2022 su: www.genitorialita.it/documenti/le-funzioni-della-genitorialita/ ;

Winnicott D.W. (1965), The maturational processes and the facilitating enviroment, International Universities Press, New York, NY;

Yablonsky L. (1988), Padri e figli. Il più arduo e stimolante di tutti i rapporti, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma.

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